Strana gente i figli: si svegliano tutti accartocciati e, dopo mezz’ora, ci salutano per andare a scuola, belli come il primo sole di primavera.
Ci chiedono di ascoltare una canzone orribile, solo per ridere del solito sermone che immancabilmente faremo sulla musica dei nostri tempi: quella bella davvero, che però ai nostri genitori non piaceva, perché loro preferivano volare (oh! oh!) con Domenico Modugno.
Ci emozioniamo durante gli incontri scuola famiglia: è bello sentire i professori parlare dei nostri pargoli, anche se di loro sappiamo già tutto e non grazie al registro elettronico. Sappiamo quello che fanno. Sappiamo che potrebbero fare molto di più. Sappiamo che anche noi potremmo fare molto di più.
Strana gente i figli: hanno sempre fretta, mille impegni da rispettare e mai tempo per mettere in ordine le proprie cose, oppure stanno tutto il pomeriggio sul divano, con le cuffie alle orecchie, tutti gli amici nel telefono e comunque senza il tempo per mettere in ordine le proprie cose.
I figli portano i risvoltini, i pantaloni strappati, le borchie, il chiodo, la pelliccia sintetica, gli anfibi, le scarpe di tela e qualsiasi altra cosa vada di moda. Ci inviano cuori e selfie su Whatsapp e noi quelle immagini le usiamo per scacciare le nuvole.
Ai figli servono sempre cinque euro.
Il sabato sera mangiano fuori: fuori in strada. Un panino gourmet, un kebab unto o un pezzo di pizza consumato in piedi, per risparmiare tempo e denaro, da poter investire in cose più divertenti che stare seduti a mangiare.
Figli al Megalò.
Figli alle giostre.
Figli piezz ‘e core.
“I figli non sono figli nostri, ma della forza stessa della vita.”
Ci fanno urlare “Io ti ho fatto e io ti disfo!”, loro rispondono “Che palle!” sbattendo la porta della loro stanza, però non la chiudono a chiave.
Crescono troppo in fretta i figli, ma non saranno mai abbastanza grandi per sbucciarsi una mela da soli: non rinunceranno mai a tale premura.
Strana gente i figli: hanno belle pagelle a scuola e invece a casa non si rifanno il letto.
Controllano su meteo.it se pioverà e si dimenticano di guardare il cielo.
Basterebbe guardare il cielo, perché è da lì che arrivano le cose: la pioggia, il sole, le farfalle, gli aerei, i fulmini, le stelle e i petali.
Non basterà guardare il cielo per schivare tutte le tegole che cadranno dall’alto, ma si avrà la possibilità di osservare il volo delle farfalle colorate, delle rondini che fanno primavera o di un petalo trasportato dalla brezza e giunto fino a noi.
Il ricordo di un fiore che è stato.
Un “M’ama, non m’ama” sfogliato dal vento, da custodire gelosamente fra i ricordi più belli, fra i pensieri più cari in cui perdersi con serena nostalgia.
Perché mai niente è perduto, mai niente accade invano, mai niente va dimenticato. Neanche ciò che i 32 gigabyte della memory card telefonica non riescono a contenere.
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
Basta da sempre un modello pedagogico dimenticato, quello dell’esempio seguito dall’attenzione e dal controllo.
Fatto? Non fatto? E, con le regole date e condivise, coerenza dei comportamenti