Vi siete mai chiesti perché un gasdotto che si chiama “Rete adriatica” in realtà è stato progettato per passare lungo la dorsale appenninica e comprende una centrale di compressione del gas nella Piana di Sulmona che di adriatico non ha niente? Perché quando è stato concepito sarebbe dovuto andare a raddoppiare il gasdotto della dorsale adriatica solo che i progettisti si sono resi conto che quel tracciato era particolarmente soggetto al rischio idrogeologico – frane e smottamenti di ogni genere – di cui la costa è spesso vittima.
Così è stato spostato all’interno con tutto quello che questo vuol dire, sì perché la fascia appenninica è fra le zone più sismiche del Paese ma a quanto pare per Snam il rischio sismico non inficia minimamente sulla tenuta del gasdotto tanto che tutte le esplosioni che si sono verificate in questi anni sono state causate da eventi franosi come nei casi di: Montecilfone (Campobasso) nel 2004, a Tarsia (Cosenza) in prossimità della Centrale di compressione nel 2010, a Mutignano (Teramo) nel 2015, e poi ancora a Tresana(Massa Carrara), Sciara (Palermo), Roncade(Treviso), Ponte Presale di Sestino (Arezzo). Pertanto in occasioni pubbliche gli addetti Snam hanno dichiarato che il tracciato di Rete adriatica, circa settecento chilometri da Brindisi a Bologna, minimizza il rischio idrogeologico, quindi è da ritenersi assolutamente sicuro.
Pare però che i tecnici Snam non abbiano fatto i conti con la storia o almeno così pare ravvisare la geologa Maria Clotilde Iavarone, presidentessa di “Orsa Pro Natura Peligna” che andando a scavare negli archivi del consiglio comunale sulmonese ha ritrovato un documento del 1861 che evidenzia come un tratto di Rete adriatica, il Vallone di Grascito – che all’epoca si chiamava Vallone di Satanasso -, è storicamente soggetto a smottamenti: “Ed il Collegio ha considerato: che lo stato e la situazione dell’attuale Campo Santo è realmente ed effettivamente tale da non potersi affatto, e sotto ogni rapporto, addirsi al proseguo della tumulazione dei Cadaveri, mentre quantunque il terreno non sia di natura acquoso e paludoso, pure tale si rende per l’effetto delle acque che scorrono lungo il Vallone di Satanasso, che infiltrandosi nelle viscere del terreno, massime nei tempi invernali, ne ristagnano”.
Aggiunge Iavarone: “Gli storici attuali ricordano che il Vallone Grascito era chiamato anche Vallone dell’Inferno – e i toponimi non perdonano – proprio a causa dei movimenti di terra e alluvioni con trasporto di detriti che accadevano sovente a causa di piogge abbondanti”.
Ancora negli anni si sono registrati smottamenti nel vallone: “Gli agricoltori della località a valle di Vallone Grascito hanno memoria di un evento disastroso accaduto negli anni ‘60 quando, dicono, “è calatluvallon” e riferiscono che, in occasione di piogge copiose e persistenti, si recavano tutti sul posto per controllare i loro mandorleti minacciati dal Vallone e dalle acque di rio Aroto, affluente del fiume Vella, ora canalizzato e interrato. Più volte la Confraternita della SS. Trinità ha dovuto riparare i danneggiamenti alle tombe affidate alla sua gestione”.
Infine l’associazione Orsa Pro Natura, andando a scavare anche negli archivi del progetto AVI del GNDCI (Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche) del CNR (Consiglio Nazionale Ricerche) ha scoperto che nel 1994 il corso d’acqua rio Aroto ha causato “colata di detriti per evento meteoclomatico causando danni all’agricoltura e al patrimonio zootecnoco, alle infrastrutture esistenti e agli insediamenti presenti”.
Le considerazioni fatte da Orsa Pro Natura, se confermate, dovrebbero allarmare autorità, cittadini e azienda proponente in quanto il Vallone di Grascito non è un luogo qualunque, ma è forse il più sensibile di tutta l’opera perché è proprio da lì che dovrebbero partire le quattro condotte del gas di 1,20 metri di diametro e 75 bar di pressione che raggiungerebbero la centrale di compressione che Snam vorrebbe costruire a poca distanza in località Case Pente. Un pericolo smottamento dunque in una zona a dir poco esplosiva.
Savino Monterisi
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