Elezioni, il sondaggio impossibile

Confusione. Non c’è stato mentale che descriva in maniera migliore la sensazione che si prova quando si tenta di capire la legge elettorale. Nei giorni scorsi abbiamo provato a spiegarla in maniera stringata ma quando si maneggiano collegi, percentuali, coalizioni, ripartizioni di seggi, sbarramenti, unininominali, proporzionali, di cui è composto il Rosatellum, pare di avere a che fare con una matassa ingarbugliata della quale non si troverà mai né il capo né la coda.

La stessa difficoltà oggettiva la devono affrontare gli istituti che svolgono sondaggi elettorali, acronimi di aziende e nomi di sondaggisti entrati nelle nostre vite grazie ai “cartelli” che mostrano puntualmente in talk televisivi di politica o nei telegiornali. I sondaggi però hanno una capacità incredibile di influenzare le nostre intenzioni di voto quindi è giusto anche dargli l’importanza che meritano.

Solitamente un campione nazionale di un sondaggio che può essere ritenuto credibile, conta circa 2000 interviste. E bene sì, con un numero così ristretto di questionari, si provano a tracciare le intenzioni di voto e di non voto di circa 50 milioni italiani di aventi diritto. Con la nuova legge elettorale, il Rosatellum, la questione si fa ancora più faticosa perché soltanto il 63% dei seggi viene assegnato in maniera proporzionale – si ottiene un numero di parlamentari proporzionali ai voti ricevuti – mentre il restante 37% viene assegnato con metodo uninominale – l’Italia è divisa in collegi dove le coalizioni candidano un solo esponente e viene eletto quello che ottiene più voti nel collegio. Questi collegi sono 232 per la Camera dei deputati e 116 al Senato.

Con una divisione del Paese così composta appare chiaro che è praticamente impossibile per un istituto di ricerca fare un sondaggio attendibile – si stima che un campione veritiero per un collegio sia di almeno 800 interviste. Questo significa che per fare un sondaggio attendibile per i collegi del Senato bisognerebbe fare 92800 interviste (800 per ognuno dei 116 collegi), un numero improponibile che costerebbe una cifra insormontabile per qualsiasi partito o trasmissione televisiva.

Oggi ad esempio sul quotidiano La Repubblica è uscita una stima fatta dal professore Salvatore Vassallo, ordinario di Scienza politica e Analisi dell’opinione pubblica all’Università di Bologna, che incrocia dati raccolti da Swg e risultati delle precedenti elezioni. L’esito che emerge però lascia un po’ basiti. Nella nostra circoscrizione ad esempio alla Camera dei deputati c’è un testa a testa fra Movimento 5 Stelle e Centrodestra entrambi al 34% con il Centrosinistra al 22%, al Senato invece i rapporti di forza cambiano radicalmente – da premettere che il collegio del Senato non è Valle Peligna / Chieti come alla Camera, ma è implementato con il collegio Vasto / Lanciano –, il Centrodestra è al 35 % mentre il M5S cala al 26% al pari di Pd e alleati.

Merito di Antonella Di Nino? Certo non è da escludere, ma pare davvero irreale che fra una camera e l’altra ci sia una perdita di quasi dieci punti per i grillini, forse un errore di calcolo o di battitura che ha condizionato tutta la stima. Andando a guardare altri sondaggi e “supermedie” si scopre che lo scenario è abbastanza diverso. Ad esempio il portale Duetredue riporta il nostro collegio del Senato in bilico, ciò significa che nessuno ha un vantaggio superiore ai 5 punti percentuali.

Su Rosatellum.info invece al Senato è avanti il Movimento 5 Stelle. Il portale nato dalla collaborazione di Youtrend, Quorum e Reti assegna un leggero vantaggio – inferiore al 5 % – al movimento capeggiato da Di Maio. Questa stima tiene conto oltre che dei dati elettorali e dei sondaggi che delineano il trend nazionale anche dei dati socio-economici dei collegi e dei flussi di voto. Caratteristica che aggiunge un piccolo elemento di credibilità in più rispetto agli altri, ma che certo mantiene le criticità per quanto riguarda la raccolta di interviste che non può essere fatta collegio per collegio.

Materia tecnica che può far girare la testa ai non addetti ai lavori, ma importante perché mantiene una capacità di permeare le intenzioni di voto decisiva. Non dimenticheremo mai i sondaggi delle elezioni del 2006 che assegnavano margini di vittoria, superiori al 10%, all’allora Unione, guidata da Romano Prodi. Quella coalizione vinse poi per poco più di 30 mila voti dando vita ad una maggioranza ballerina che si spense poco dopo. O ancora le elezioni del 2013 dove i sondaggi assegnavano un discreto vantaggio al Centrosinistra di Bersani che invece vinse per soli 100 mila voti senza riuscire ad eleggere lo “smacchiatore di giaguari” premier. Stessi sondaggi che sottostimarono e non poco il partito di Grillo che invece andò oltre ogni aspettativa. Insomma sondaggi sì, sondaggi no sarà il dogma dei prossimi giorni, ma mai come in queste circostanze: “l’unica certezza rimane il dubbio”.

Savino Monterisi

1 Commento su "Elezioni, il sondaggio impossibile"

  1. Onestamente penso che i sondaggi siano masturbazioni mentali prerogativa di certi politicanti e giornalisti alla costante ricerca di visibilità da primi della classe. Non riesco proprio ad immaginare un elettore medio influenzato da sondaggi, dei quali probabilmente ignora persino l’esistenza.
    Sono altri i fattori di influenza per il voto è molti di questi rientrano nella sfera dell'”informazione schierata e/o orientata” o comunque molto parziale.

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