I numeri della sanità abruzzese sembrano tornare. Non si tratta, per una volta, dei numeri economici che da anni costringono il bilancio della Regione a convivere con l’emergenza, ma della consistenza e qualità di servizi sanitari offerti ai cittadini. C’è un numero che il Governo ogni anno attribuisce ad ogni singola regione sulla stato, la qualità e il livello delle prestazioni sanitaria che per legge devono essere garantite. Si chiamano nel linguaggio burocratico Lea, Livelli essenziali di assistenza. Sono quelle prestazioni che lo Stato, tramite le Regioni appunto, deve garantire al solo pagamento del ticket.
Per l’anno 2015 l’Abruzzo tocca quota 182. La rilevazione dell’anno scorso, riferita all’anno 2014, aveva fermato l’asticella a 163, che tradotto in termini numerici certifica un incremento di circa 20 punti. “Un bel balzo in avanti – ha evidenziato l’assessore alle Programmazione sanitaria Silvio Paolucci – che conferma il trend positivo dell’Abruzzo ma che soprattutto cancella l’appellativo di “regione canaglia” in campo sanitario”.
La crescita abruzzese in campo sanitario dopo gli anni bui del commissariamento è ormai una certezza dal 2013 ai giorni nostri. Se dal punto di vista economico e di tenuta finanziaria il sistema sanitario regionale presenta ancora qualche criticità, dal punto di vista dei servizi qualche miglioramento è dovuto anche alla razionalizzazione dei servizi sul territorio. Che non si è tradotto solo con la chiusura degli ospedali o di alcuni reparti che certo ha generato tensioni sociali e politiche non da poco, ma anche con una migliore declinazione dei servizi stessi. In quel 182 riconosciuto dal ministero della Salute all’Abruzzo un peso rilevante l’hanno la prevenzione e l’assistenza sanitaria collettiva, che rispetto al 2014 hanno avuto un incremento di 10 punti pari a circa il 40%. Significa che c’è stata attenzione alla prevenzione e cioè coperture vaccinali, screening, stile di vita, controlli sugli alimenti.
Fin qui tutto bene, ma ci sono ancora molti aspetti del sistema sanitario regionale che proprio non vanno, al di là di quota 182. Il pensiero corre alle liste di attesa: mesi e mesi per ottenere una visita che molte volte ha carattere di urgenza. Perché questo problema non viene risolto? Perché non si interviene per eliminare le cause che generano un disservizio che l’utente sanitario vive tutti i giorni sulla propria pelle?
Si rimane nel campo delle criticità anche quando si parla di ospedali, da sempre il vero tallone d’Achille del sistema regionale. In gran parte di essi l’assistenza non è all’altezza, i sistemi organizzativi dei singoli reparti non sono in grado di dare qualità al servizio; non c’è traccia del cosiddetto “sistema aperto”, un sistema cioè che mette in condizione l’utente della sanità regionale di avere un rapporto trasparente con il personale medico. Non è un caso se nella costituzione della quota 182 l’assistenza ospedaliera abbia peso marginale, poco percettibile. Ma quella quota minima è anche figlia della diffidenza che accompagna il cittadino abruzzese quando si appresta ad entrare in un ospedale regionale.
Forse è un fatto di cultura che poco c’entra con i numeri
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