Natale se l’è fatto a casa, anche se formalmente ancora con la fascia a tracolla. La Befana, pure. Ma con la fascia in borsetta, visto che neanche il consigliere politico di Gentiloni se l’è voluta prendere. Il sindaco dimissionario di Sulmona, Annamaria Casini, è oggi in mezzo al guado: a metà, cioè, dei venti giorni che la separano dal ritiro delle dimissioni o, in caso contrario, dall’inevitabile scioglimento della sua sindacatura con l’eventuale conseguente nomina del quinto commissario consecutivo, che definirlo straordinario è diventato a Sulmona un controsenso.
In molti sono convinti, però, che la Casini ritirerà le sue dimissioni: in fondo la sua decisione non è stata, almeno formalmente, dettata da una crisi politica di maggioranza come è stato per i suoi predecessori, almeno non così grave ed evidente.
Però ci sono dei nodi politici che si stenta a comprendere e che sono gli stessi che avevamo espresso subito dopo le sue dimissioni a cui, nonostante l’invito formale, non sono seguite quelle dei suoi colleghi sindaci del territorio.
Quello della Casini, insomma, è rimasto un gesto isolato e tutto sommato anche snobbato, perché tolto qualche titolo di giornale, sulla vicenda della centrale Snam (motivo per il quale si è dimessa per protesta) è calato ormai da giorni un assordante silenzio. Che poi è la stessa cosa che accadde all’indomani del diniego all’intesa dato due anni fa dalla Regione, quando D’Alfonso e Gerosolimo dovettero recarsi a Roma con un accordo sulla centrale elettrica rinnegato perché pensato e contrattato senza l’avvallo dello stesso Comune di Sulmona.
Ora non è chiaro, perché il sindaco non l’ha detto, quale debbano essere le condizioni “nuove” per le quali la Casini debba ritirare le sue dimissioni: quale atto, azione o anche promessa, debba arrivare, presumibilmente dal governo Gentiloni, per convincerla che lo Stato c’è, che un sindaco conta ancora qualcosa, che vestire una fascia tricolore ha ancora un senso.
Perché certo non può bastare un’altra gita a Roma da “turista svedese”, neanche se a fare da Cicerone ci sarà il governatore d’Abruzzo che spera di trasferirsi a Roma definitivamente dopo le elezioni di marzo. Ed è difficile credere che Gentiloni possa tornare indietro sui suoi passi o che possa andare oltre un impegno che lo esporrebbe anche ad un eventuale ricorso della Snam e che più in generale non trova d’accordo una grossa fetta del potere che conta (a torto o a ragione che sia).
Dunque la protesta del sindaco, in mezzo al guado, o si rafforza istituzionalmente e con il sostegno popolare; oppure non ha più senso, tanto più che sembra essere sfumata anche l’ipotesi di un’azione giudiziaria promossa dal Comune (e che l’avvocato Dover Scalera si era offerta, tramite il sindaco di Pratola, di patrocinare gratuitamente).
In fondo non è che la città possa permettersi di aggiungere alle vacanze di Natale e della Befana altri preziosi giorni di stallo: ci sono gli studenti delle mense da sfamare, ad esempio, la riorganizzazione della macchina amministrativa da approvare, la convenzione sull’ufficio sisma da rinnovare, solo per fare qualche esempio impellente.
E allora eviti, il sindaco, se la sua intenzione è comunque quella di ritirare le dimissioni, quest’ulteriore perdita di tempo; l’ennesima passerella a favore dei candidati alle elezioni politiche; persino il traffico e i costi della trasferta a Roma visto l’aumento del pedaggio autostradale. Si rimetta alla guida della città, risalga a bordo, perché la nave sta affondando. Lunedì stesso, digerito il veglione dell’Epifania e il carbone della calza.
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