Le comunicazioni sono difficili, i malviventi si portano via perfino i cavi internet dalla strada come è accaduto nel quartiere di Roberto Di Mattia, figlio di emigrati pratolani, che si descrive “Sono stato cresciuto pratolano”. La situazione nella Venezuela di Nicolás Maduro non è delle migliori, tutt’altro, e a sopravvivere nella ricca terra dove oggi regna una forte crisi economico-sociale ci sono tanti italo venezuelani a subirne gli effetti.
Si esce poco, di sera per niente, la vita si svolge “in carcere dentro casa”, “Una situazione molto delicata, ti possono ammazzare per rubarti qualsiasi cosa” racconta Roberto, parte di quella generazione che sta combattendo ora contro la burocrazia italiana in Venezuela. Per regolarizzare quei documenti che conferirebbero la doppia cittadinanza a sua moglie (lui lo ha fatto in tempi non sospetti) in modo da essere finalmente liberi di lasciare il Venezuela. Il problema è che il consolato è off limits con appuntamenti difficili da ottenere, con bustarelle passate sotto banco per ottenerne uno, senza mai essere sicuro se sarà convocato. “Irregolarità” le definisce Roberto, tra quelli che si sono piegati un anno fa al sistema pur di ottenere il documento dal consolato, e che ora aspira all’ultimo colloquio. Chiedono 2milioni di bolivars per un appuntamento, circa 200 dollari americani, niente, ma che in Venezuela equivalgono a sei mesi di lavoro di un ingegnere, il mestiere di Roberto. “Il console e l’ambasciatore lo sanno- prosegue nella sua denuncia -, ma dicono che non è vero e che dobbiamo insistere sulla pagina del ministero degli Affari Esteri”, totalmente bloccata. C’è stato un incontro con il console, tempo fa, al centro italo venezuelano nel quale si era parlato di trovare una soluzione, da lì più nulla. Il tempo passa, i documenti raccolti nel frattempo scadono ancora prima di proseguire tutta la trafila.
“Quando ci sono qualsiasi tipo di votazione in Italia le schede per votare ce le fanno arrivare subito, non ci sono problemi, ora che c’è una crisi in atto nel paese si disinteressano, non prendono decisioni, non ci aiutano, siamo abbandonati. La gente scappa”. Di 800 mila italiani in Venezuela prima della grande crisi, si stima che la metà abbia lasciato il paese, andati via come gli spagnoli ed i portoghesi. Roberto chiede, dunque, allo stato italiano di facilitarli nel fornire i documenti, ampliare i servizi consolari con più funzionari e togliere il fallimentare sistema di appuntamenti online.
Si lavora poco in Venezuela, le fabbriche sono chiuse, altre espropriate ai privati per essere poi rovinate dallo Stato; Alitalia non vola più e nessuno si è preoccupato di trovare una alternativa, tornare in Italia, tra le altre cose, costa tantissimo.
Le scuole sono aperte grazie a quei pochi professori rimasti, gli altri sono scappati pure loro per gli stipendi bassi e la scarsa sicurezza, il servizio di trasporto pubblico è molto precario, come tutto; i supermercati vuoti e i beni di prima necessità come zucchero, farina, caffè, sapone, shampoo, olio, pane non si trovano molto, tranne che nel mercato nero dove costano dieci volte di più e bisogna fare file chilometriche. Non si possono indossare abiti di valore, o cambiare i pezzi dell’auto perché i prezzi sono alle stelle, ci sono problemi con le medicine. “Eravamo un paese che produceva tutto- ricorda Roberto- e quello che non c’era lo si importava facilmente, adesso non c’è neanche la benzina per fare il pieno, abbiamo problemi di luce e gas, e il governo controlla il mercato dei dollari e delle esportazioni mediante ministri che sono tutti militari, controllato è anche il sistema elettorale, ci sono zone di pace in cui comandano i sequestratori e le mafie”.
Nel secondo dopoguerra hanno lasciato Pratola, ma non hanno mai dimenticato il loro paese collaborando nel farlo rifiorire con i soldi inviati di tanto in tanto, “ora neanche un appuntamento ci danno. L’ho scritto a padre Renato, siamo dei morti viventi, mentre la sindaca Antonella Di Nino non può far nulla per aiutarci, dice che sono indirizzi di governo”.
Una terra da sogno trasformata in incubo dove l’unico obiettivo è scappare.
Simona Pace
Già il Venezuela, una volta terra di emigrazione per tanti pratolani,dove negli anni 50, hanno fatto la loro fortuna a milioni. La moneta corrente, il Bolivar,valeva e teneva testa al dollaro.Terra ricca, in petrolio,cacao(il migliore) ferro,minerali vari etc. I problemi sono iniziati nel momento in cui il popolo ha creduto ai soliti pifferai tipo Chavez, il paracadutista seguace della dottrina di Castro ed ora del suo braccio destro Maduro ex autista di metropolitana. E così una terra ricca e fiorente è stata trasformata dal social-comunismo in una terra affamata,con una inflazione tragica. La produzione è crollata, l’economia pianificata ha fatto un fiasco simile a tutte le nazioni dove alligna la tenie del comunismo pre e post,la fame è più nera del nero, tanto che la gente ha mangiato tutti gli animali dello zoo di Caracas, compresi i pitoni. Due giovani di Pratola che erano partiti per far visita ai nonni,rimasti in Venezuela, sono stati uccisi per rapina. Il bolivar ha perso il 72% sul dollaro. Insomma quella gente non sta proprio bene. Eppure continuano a dare fiducia al loro presidente che li ha condotti in quell’inferno,perché Maduro gli fa credere che è tutta colpa degli Stati Uniti. Ma quando mai il popolo ha capito qualcosa? Bisogna provarlo per capire.Anche l’Italia sta per quella china se non rinsavisce,con i suoi 2300 miliardi di debito pubblico. Che vuol dire montagne di BOT-CCT-BTP etc. Tiriamo avanti finché ci sono acquirenti come la BCE di Draghi, ma poi? Eppure ci sentiamo forti ed invitiamo l’Africa a venire e gli offriamo vitto,alloggio ,lavatura e stiratura. La stessa politica pianificata del Venezuela. La colpa per certi incapaci però è sempre degli altri. Che Dio ci assista!
La descrizione del suo commento ha una realtá del 101% speriamo che le massime autorita italiane possano fare qualcosa prima che sia molto tardi.