Quando aspettavo i miei figli, oltre a mille paure, avevo duemila sogni.
Ogni giorno mormoravo tremila preghiere e facevo quattromila sorrisi ebeti, sfogliando le riviste dedicate all’argomento: “Mamma e bimbo”, “Essere madre”, “Pupi e mammelle”, “Madri in carriola”.
Tanti consigli per rendere l’esperienza di diventare genitori più serena e facile possibile: meglio dar retta a un luminare su carta stampata, che a una zia in carne e ossa, pronta a elargire pareri al sapore di comando e col profumo di muffa.
Tante immagini pubblicitarie che istigavano all’acquisto di prodotti indispensabili, in grado di rendere ogni cosa più sicura e facile, dalla poppata al cambio, dal bagnetto alla nanna. Un mondo raccontato in toni pastello, tessuti morbidi e al profumo di borotalco.
Un mondo in cui le mamme erano tutte belle, mentre stringevano fra le braccia i loro neonati sani e paffuti. Un mondo tintinnante di campanellini fatati e carillon armoniosi, di culetti rosa sempre asciutti e ciccette che fuoriuscivano da ghettine linde e pinte.
Quei bambini mi guardavano dalle pagine patinate con occhietti vispi, su sorrisi teneramente sdentati.
A volte mi scappava un pensiero orribile: “Lo vorrei proprio così”, ma subito mi destavo contrariata: non stavo sfogliando un catalogo per compilare un modulo d’ordine, mi stavo semplicemente informando!
Continuavo a studiare gli articoli diligentemente: come partorire, come allattare, come contrastare le coliche, come svezzare.
Prontissima e saputa, con decine di articoli mandati a memoria, finalmente partorii e accolsi entrambe le volte i miei figli in culle, carrozzine, porta enfant e seggioloni moderni e performanti, di quelli suggeriti dalle dodici riviste a cui ero abbonata.
Messi lì dentro, qualche volta anche i miei bambini erano floridi e sorridenti e la vita sembrava facile e appagante, come nelle pubblicità degli omogeneizzati biologici. Qualche volta.
Tante altre volte, invece, era tutto molto estenuante, preoccupante e snervante.
Gli oggetti, che sulle riviste erano sembrati necessari, si trasformavano, una volta in mio possesso, in inutili cianfrusaglie che ingombravano casa.
I vari -Uno: one!, A: albero!, Canta con me!- provenienti da decine di balocchi elettronici, erano molesti alle orecchie, al cervello e agli occhi, che anelavano silenzio, pace e riposo.
Quegli anni sono stati tanto lunghi da vivere allora, quanto sembrano brevi da ricordare oggi.
Le guance, un tempo paffute e rosee, ora sono sfilate e ispide di barba oppure profumate e incipriate di fard.
I sorrisi pieni di bava, che erano quasi sempre rivolti a me: fonte d’amore, cura e nutrimento, oggi sono più frequentemente rivolti alla fotocamera interna di uno smartphone: fonte di sicurezza, svago e condivisione.
Io stalkero e salvo in galleria, nel file “Davide e Lisa”, pieno di abbracci, amici, smorfie e sorrisi fraterni, che raccontano una storia meravigliosamente complicata, ancora tutta da scrivere.
Non è facile diventare grandi in questo mondo. Non è facile essere grandi in questo mondo.
Soprattutto quando ci si rende conto che non esiste un manuale di istruzione o una rivista a tema, in grado di mostrarci il giusto cammino da seguire e da indicare.
Neppure con l’ausilio dei più costosi, sofisticati e desiderabili oggetti tanto di moda, pieni di pixel e byte, connessioni e wi-fi.
-Uno: one!, A: albero!, Canta con me!
-Condividi! Tagga! Metti un like!
Ma non abbiamo scelta e prima o poi, nonostante proroghe e condoni emanati da una società che ci vorrebbe sempre giovani, belli e fregnoni, ci tocca fare la parte degli adulti che non sbagliano mai e hanno sempre ragione.
E lo facciamo fra decisioni giuste ed errori, fra scuse che non riceveremo mai e ragioni da dare agli altri.
Ai nostri figli per primi, che abbiamo fatto atterrare su questo mondo pubblicizzato in toni pastello, dai tessuti morbidi e al profumo di borotalco…e invece è pieno di angoli bui e spigoli, che a sbatterci contro ci si fa tanto male.
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
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