
Due lumini accesi sulla panchina dove trascorreva le sue giornate, alle porte di quel quartiere storico di Pratola Peligna, Dentro la Terra, dove aveva deciso di vivere. La storia di Peter Pizzoferrato, morto suicida l’altro giorno a 68 anni, è una storia che va raccontata, non per la sua fine, ma per il suo inizio, e perché il suo, ora, è diventato un caso politico.
Il consigliere comunale di opposizione Vincenzo Margiotta, che da lui aveva ricevuto una mail il 12 febbraio scorso, ha chiesto ieri la convocazione urgente di un consiglio comunale per “deliberare l’apertura di un fondo comunale a favore delle persone che devono lasciare le proprie case e non hanno mezzi per provvedere da soli oppure che sia il Comune a farsi carico di reperire ed affittare immobili da destinare a chi deve lasciare casa”.
In quella mail Pizzoferrato lamentava come la messa in sicurezza dell’aggregato di cui faceva parte la sua abitazione, lo costringesse a lasciare casa e a dover eseguire nuovamente lavori di rifinitura per almeno 45mila euro.
Di quello “sfratto” parla anche nel biglietto che ha lasciato vicino al suo corpo e nel quale chiede anche di essere cremato, seppellito nel cimitero di Pratola e di non volere un funerale, né manifesti a morto.
Chi lo conosceva bene, però, dice che il problema non era economico: ex imprenditore, figlio di un noto cardiochirurgo americano e fratello della famosa fotoreporter newyorkese Donna Ferrato, Pizzoferrato era più affranto dal dover lasciare quel rifugio che si era costruito e aggiustato in trenta anni e dove si era trasferito definitivamente a maggio dello scorso anno per godersi la pensione.
A Pratola, d’altronde, c’era chi si era offerto di prestargli gratuitamente casa durante i lavori di messa in sicurezza dell’immobile e che, insomma, il problema non era quello di dover trovare un altro alloggio, quanto di lasciare quel suo rifugio che si era scelto e sistemato.
Scrive, Pizzoferrato, come ultimamente fosse travolto da momenti di depressione e sconforto e come in quel paese che aveva scoperto a metà degli anni Novanta, seguendo le tracce del nonno emigrato, arrivando in piena notte con il treno e dormendo sotto ad un porticato, non fosse il luogo che si era prefigurato.
La ricerca delle sue radici, lo aveva probabilmente confuso al punto di non avere più un luogo e una identità: la pace che aveva cercato è riuscita a trovarla solo con la morte.
Neanche un solo giorno ha atteso il noto consigliere comunale (ex amministatore COGESA) a mettere in scena questa polemica strumentale.
E’ di opinione pubblica che questa volta ha veramente toccato il fondo.
RIP PETER
Una tragedia umana che pone una domanda: incapaci di accogliere le sofferenze e i bisogni dei disperati, dove è finita la nostra umanità?
La confraternita della SS Trinità con sede e chiesa di riferimento a pochi metri dalla casa di Peter, a poche ore dal prelievo della salma in decomposizione ha celebrato la festa di Carnevale in maschera. Lo conoscevano tutti perché si prodigava a rendere decoroso il luogo dove si riunivano i devoti e i confratelli. Non hanno avuto una minima compassione umana, dovevano divertirsi, avevano pagato la sala dove premiare la mascherina più bella. L’umanità degradata. Questo è il vero senso di questa tragedia.