Oi Barbaroi

Le trincee sono state innalzate, fatte di divieti e targhe alterne. Bus contingentati, rinforzi in divisa e bagni chimici. Roccaraso si prepara a difendersi dalla “seconda” orda di “Barbari”: tiktoker con mon boot in pelliccia, crema Lancaster Bronze e ‘a marenna (il pranzo al sacco) preparata da mammà.

Oggi e domani, soprattutto domani, gli influencer del web promettono l’ennesima invasione: 30 euro sì e no per passare un giorno in montagna, anzi a Roccaraso. La meta dei Vip, che pure Zalone e Sorrentino hanno messo nei loro film.  Dove vanno a sciare i notabili e vicino a dove si allena l’estate capitan Di Lorenzo.  

Il fenomeno dell’overtourism non è così recente come il neologismo che gli fa da significante, ma l’Abruzzo, che il turismo lo rincorre da anni, non era preparato a questa improvvisa notorietà, rimbalzata nell’ultima settimana dai profili Tik Tok e Instagram ai titoli della Cnn.

Persino a Roccaraso dove la turistificazione, intesa come l’insieme delle trasformazioni innescate dall’incremento dei flussi turistici (di carattere sociale, economico, urbanistico), ha avuto la meglio ormai da tempo sulla comunità e il paese.

Dieci, ventimila persone per strada, non è però come averle sulle piste e non solo perché chi va a sciare davvero, ha anche la carta di credito da strusciare.

Roccaraso non è pronta e non è in grado di smaltire quel flusso di gente che, sia inteso, ha tutto il diritto di farsi una gita fuori porta e anche di scivolare con una busta di plastica sulla neve e il panino nello zaino.

E’ che con la montagna tutto questo c’entra poco e niente, perché l’orda dei Barbari, perlopiù partenopei, arriva la domenica non sulle montagne d’Abruzzo, ma nella Cortina del Sud. Richiamata più dal selfie da postare che dal paesaggio da respirare.

E’ l’immagine che il paese ha venduto all’esterno, nel bene e nel male, diventata un boomerang ora, tanto da invocare l’esercito e le barricate per fermarla.

Che il fenomeno dell’overtourism sia deleterio lo dicono d’altronde l’esperienza e i numeri: per la produzione di rifiuti e inquinamento, per l’estrazione di risorse, per la normalizzazione dei paesaggi urbani con la sostituzione di negozi tutti uguali al posto delle botteghe, per l’abbassamento della qualità dell’offerta a fronte della quantità, per il caro affitti che spinge, paradossalmente, i residenti ad abbandonare il paese o la città di origine (Venezia ne è l’esempio più lampante) anziché restarci.

Una sorta di Disneyficazione che il sociologo Rodolphe Christin (Turismo di massa e usura del mondo – Elèuthera) definisce “mondofoga” che distrugge cioè il mondo che dice di amare.

Uscirne non è facile, perché richiede investimenti culturali, prima ancora che infrastrutturali. Consapevolezza di sé e del posto che si visita. Richiede strategia e programmazione turistica dal respiro almeno territoriale e richiede, soprattutto, uno sforzo politico in grado di comprendere che non c’è un paese senza chi lo abita.

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