L’equilibrio sui pedali: la sfida di Latifa al pregiudizio

Oggi alle 8,30 salirà sulla sua bici a piazza Garibaldi dalla quale si staccherà il prossimo 23 novembre, quando, dopo aver percorso oltre quattromila chilometri, coronerà un sogno che ha nel cassetto da qualche anno: andare dalla sua Sulmona al suo Marocco in bicicletta. Quarantatré tappe in cinquanta giorni, quasi cento chilometri al giorno tra strade d’asfalto e sterrate, sentieri nella natura e sabbia del deserto.

Nella sfida di Latifa Benharara, trentaquattro anni sulmonese di origine marocchina, c’è un po’ di tutto: c’è l’amore per la bicicletta che ha scoperto e bruciato in pochi anni vincendo gare nazionali e poi diventando guida cicloturistica prima e commissario di gara poi e c’è la voglia di fare qualcosa per i bambini e le famiglie marocchine, colpite e ferite prima dal terremoto dello scorso anno e poi dalle alluvioni di settembre. Per loro raccoglierà fondi durante la traversata a cui si uniranno, strada facendo e a tappe alterne, ciclisti da tutta Europa e non solo. Dall’Italia, alla Francia, alla Spagna e poi passando dalle Bocche di Ercole a Gibilterra fino in Marocco, attraverso le città imperiali di Rabat e Casablanca, nella martoriata Marrakech, fino a Ouarzazate l’ultima porta prima delle dune del deserto.

C’è anche, nella sfida, l’obiettivo di unire culturalmente i suoi due Paesi, evidenziarne il profilo mediterraneo che li unisce, il valore delle biodiversità, ma soprattutto la compatibilità di due mondi pur così diversi. Per religione e cultura, gusti e visioni. Dicotomie che in lei vivono da quando ragazzina giocava sotto casa in via XXV aprile, che strappano con i colori le tele dei suoi dipinti, che oggi la vestono di turbanti e veli islamici, ma colorati e allegri, come in Occidente non si è abituati ad immaginare i musulmani.

La vera sfida di Latifa, in fondo, è proprio questa: difendere i valori di una fede religiosa che ha abbracciato con convinzione e profonda spiritualità dopo un’adolescenza da occidentale in jeans e affermare il suo orgoglio di donna libera e autodeterminata pur indossando il velo del sufismo, smontando pregiudizi e preconcetti. L’origine dell’incomprensione, dell’odio, delle guerre.

La sua, insomma, sarà una pedalata per la pace: in equilibrio sulla bici e nella vita, figlia di due Paesi e due culture in egual modo.

Chilometro dopo chilometro alla ricerca di sé stessa, di una pace possibile. Dentro e fuori. Di una – possibile – società multietnica e inclusiva.

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