Morrone, il principio del dopo incendio

Con la neve che si stanzia sul Morrone sfregiato dalle fiamme, prosegue l’attività post-incendio dei due comuni principalmente colpiti dai roghi: Sulmona e Pratola. Nelle scorse settimane si era delineata la diversa linea d’intervento con Sulmona che puntava al “procotollo d’intesa” e Pratola che mirava alla creazione di un’Ats. Le due iniziative sono sovrapponibili e non sono in contrasto fra loro, si differenziano però per gli obiettivi di breve e medio termine che si prefiggono.

La sindaca Casini ha pronta una bozza di accordo che dia luogo all’incontro tenuto in Comune il 20 ottobre. In quell’occasione, l’amministrazione di Sulmona insieme a diversi altri attori, i comuni colpiti dagli incendi, il Parco della Majella, l’ordine dei geologi e il dipartimento di geologia dell’università di Chieti-Pescara, avevano manifestato la volontà di sottoscrivere un protocollo d’intesa finalizzato al monitoraggio del Morrone ai fini del rischio idrogeologico. L’intento è quello di creare un coordinamento territoriale che una volta esaurita la fase del monitoraggio si occupi delle altre azioni urgenti da mettere in campo. Ad esempio la valutazione del danno reale creato dall’incendio al bosco, che ad oggi non è ancora quantificabile perché bisogna aspettare primavera per capire quali piante sono state capaci di riprendersi e quali no. Una volta stimato ciò si capirà se è necessario un intervento nel bosco per calmierare un eventuale rischio idrogeologico. Infine Sulmona sta spingendo molto sulla creazione del Centro operativo intercomunale di protezione civile perché come sostiene la sindaca Casini “tutti i Comuni hanno piani di emergenza, quello che manca è una forma di coordinamento fra loro. Con il Coi vogliamo creare un coordinamento stabile per la gestione delle emergenze”.

Pratola come detto, sta invece costituendo un’Ats che si occupi del monitoraggio del Morrone, di redigere il “Piano di assestamento forestale”, aggiornare il Piano di assetto idrogeologico e partecipare ai bandi forestali. Intanto nel consiglio comunale di mercoledì dovrebbe esserci la tanto attesa riorganizzazione della protezione civile in paese che attualmente conta due gruppi. L’amministrazione è pronta a fonderli e già dalla prossima settimana chiederà alla Regione l’avvio della procedura per far svolgere il monitoraggio proprio agli operatori della protezione civile pratolana “riunificata”.

Discorso diverso meritano le opere di ripristino che devono essere fatte sulle linee tagliafuoco costruite nei giorni della piena emergenza. La Regione avrebbe fatto notare che la legge 353/00 sugli incendi boschivi – quella famosa per vietare il rimboschimento per cinque anni – vieterebbe anche le “attività di ingegneria ambientale” per “le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco” una fattispecie che riguarderebbe la tagliafuoco di Pratola Peligna che fu scavalcata dal fuoco la notte del 28 agosto. Questo potrebbe rallentare le opere di regimazione idraulica necessarie perché dovrebbero avere il via libera dal ministero dell’Ambiente.

Fatta salva questa prescrizione tutta da verificare, il Comune di Pratola si sta attivando per intervenire sulla tagliafuoco, come spiega l’assessora alla Montagna Fabiana Donadei: “Avevamo presentato un preventivo alla Regione in occasione della dichiarazione dello stato di emergenza per gli incendi in cui prevedevamo la realizzazione degli scoli dell’acqua, l’apposizione di una sbarra all’altezza del confine del Parco della Majella e la bonifica dei rifiuti edili abbandonati ai margini della tagliafuoco”. Sì perché con i lavori delle ruspe per allargare la vecchia via che procede sopra il cimitero di Bagnaturo, è venuta alla luce una quantità spropositata di rifiuti, anche alcuni pericolosi come l’amianto, che per anni sono stati scaricati illegalmente nella zona. Continua l’assessora: “Col ridursi della possibilità di avere lo stato di emergenza, il problema sta tutto nel reperire i fondi necessari a realizzare gli interventi”.

Anche il Comune di Sulmona si sta attivando per le opere di ripristino sulle due tagliafuoco costruite ai margini della via che porta allo chalet dell’eremo di Sant’Onofrio. Gli abitanti delle case a ridosso di una delle due tagliafuoco sono preoccupati e si lamentano perché passata l’emergenza incendio gran parte degli alberi tagliati è rimasta a terra – fra l’altro abbandonati a fronte fuoco – e come hanno dichiarato al Germe: “Se non verranno rimossi rappresenteranno un ulteriore pericolo l’estate prossima”. La sindaca però rassicura di aver dato istruzioni agli uffici che si occupano della manutenzione per rimuovere il materiale arbustivo rimasto a terra, inoltre è prevista la chiusura delle tagliafuoco con una sbarra. “Purtroppo – dice la Casini – gli interventi di manutenzione da fare in città sono notevoli e non riusciamo ad agire con celerità”.

Savino Monterisi

1 Commento su "Morrone, il principio del dopo incendio"

  1. Rischio idrogeologico?
    Rammento che per anni ed anni il Morrone è stata una montagna brulla, vale a dire spoglia. Era famoso per questo. Mai si verificò incendio,tranne negli ultimi anni del secolo scorso. Una volta c’erano solo le pietre da incendiare. Questo per rammentare che giammai ci fu rischio idrogeologico. Detriti ed altro,trasportati dalle acque si riversavano in un canalone chiamato dagli “indigeni” “la ravara”. Mai case abbattute o alluvioni o che dir si voglia. A meno che non si sia nel frattempo costruito a tiro della “Ravara”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non verrà mostrato.


*