Muntagninjazz e Jannacci, l’eredità condivisa

Valter sarà contento, dovunque sia, dovunque la sua anima sia dispersa. Trascinata dall’etere come le note che ha amato per tutta la vita terrena. Sarà contento nel vedere che il “dopo di lui” è stato quest’anno un “ancora con lui”: quel Festival, quell’intuizione, quella tenacia nel crederci.

Un’eredità non dissipata quella di Valter Colasante, ideatore, fondatore e anima del Muntagninjazz, tornato quest’anno per tre settimane – che sono proprio tante – ad animare le vette e i borghi dell’Abruzzo interno e, per l’ottavo anno, a vestire dell’abito migliore la città di Sulmona, dove ieri e l’altro ieri, si è andati, ancora, “Piano Piano” e lontano.

La pioggia, minacciosa, è andata via al tempo giusto, come ha sempre fatto in diciotto anni: “Su questo Valter era uno sciamano – racconta Franco Tavoletti, storico associato, braccia e anima anche lui dell’evento – non siamo mai stati costretti ad annullare un concerto”.

Un testimone raccolto e portato avanti, nel tempo. Un po’ come quello dell’artista che ha chiuso la due giorni di Piano Piano: un ospite che Valter aveva sempre voluto e che alla fine ha accettato l’invito sul palco di piazza XX settembre.

Paolo Jannacci, proprio come quelli dell’associazione Muntagninjazz, porta avanti un progetto che non è solo spettacolo, ma condivisione di idee e ideali. Ricordo di una persona straordinaria: il medico e cantautore, il comico e il cabarettista, l’attore e lo sceneggiatore, l’uomo attento agli ultimi. Il padre Enzo.

Come lui, Paolo Jannacci, ha scelto la musica come linguaggio e strumento; lo abbiamo incontrato ieri, poco prima del concerto di chiusura di Piano Piano.

La musica è per lei un modo per rafforzare il rapporto con suo padre?

Papà era spesso via. Ma io me lo ricordo presente nei momenti cruciali. Sempre attento. Non mi ha fatto mancare nulla. Mi ha voluto un bene trascendente, quindi questo omaggio che noi facciamo in maniera permanente è quasi normale. Parlo al plurale perché è atteggiamento che condivido con la band che oltretutto ha accompagnato mio padre. Facciamo ascoltare i brani più cari di  mio padre. Li abbiamo montati e abbiamo trovato una scaletta perfetta, che modifichiamo sensibilmente in ogni piazza in cui andiamo.

Ci può raccontare il rapporto e l’importanza che suo padre dava agli ultimi e agli emarginati?

Beh già all’inizio della sua carriera invece che seguire una moda o una modalità di canto e racconto, ha cominciato a interrogarsi su determinate figure che non venivano raccontate perché agli artisti del tempo non sembrava opportuno fare. Invece è stato un grande moto di spirito perché in questo modo ha dato voce a chi aveva bisogno ed era relegato in un luogo oscuro, in periferia, in un posto che non sarebbe stato meglio notare perché sono figure che danno fastidio, che ci impauriscono. Clochard e barboni, chi sta male, danno senso di estraniamento. Invece mio padre ha cominciato a cantare queste figure. “Guardate son persone vive. Hanno grande dignità. Forse è anche colpa nostra se vivono in questo modo”. Poi, per arrivare al punto della domanda, perché parla di queste persone? Perché lui era laureato in medicina. È stato portato naturalmente ad aiutare gli altri.

Cosa ne pensa di Piano Piano per Sulmona?

Splendido. È la possibilità di entrare a contatto con elemento culturale importante. Specie se ci sono vari generi dedicati ad uno stile importante come la musica d’autore. Questo permette a noi di vivere nella bellezza e acquisite questo elemento estetico che poi prende ancor più significato grazie al luogo che è una splendida piazza come piazza XX settembre.

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