Si parlava dialetto pratolano ieri mattina nell’aula magna del polo scolastico di Pratola Peligna dove circa cinquanta ragazzi delle classi 1a e 2a media hanno recitato al microfono la poesia A Nu Fije Spiorze di Oreste Letteri, versi declamati come prova di selezione di un concorso a dir poco originale.
Una sfida più che una competizione che i ragazzi hanno accettato spontaneamente mettendosi alla prova in una “lettura” tutt’altro che facile, anche se in una lingua che ogni pratolano porta dentro di sé, segno di una vita trascorsa nei luoghi di un paese dove dialetto è sinonimo di appartenenza. Quella stessa appartenenza che ha spinto un gruppo di appassionati di dialetto pratolano ad organizzare un concorso per i ragazzi della scuola media con l’obiettivo di tramandare alle future generazioni un patrimonio dove la ricchezza è data dalle parole, lemmi antichi tramandati di generazione in generazione e che oggi rischiano di essere dimenticati.
Anche a Pratola Peligna dove il dialetto da sempre rappresenta motivo di orgoglio ed elemento distintivo di un’intera comunità, tanto da convincere la dirigente supplente dell’istituto scolastico Antonella Pupillo ad accogliere l’idea del concorso perché “il dialetto è parte della nostra storia ed è importante rinnovare il legame tra passato e futuro”. Soprattutto per gli adolescenti di oggi che “parlano un dialetto diverso e più volgare – continua la dirigente – una lingua modificata rispetto all’originale”. Quella che Eugenio Di Cesare, Andrea Giampietro, Antonio Petrella, Filomena Di Rocco, Concezio di Pillo, Panfilo Tito Pace, Vincenzo Rosati, Mario D’Alessandro, Vincenzo De Stephanis, Annarita Rossi, Maria Di Fabio, Pieris Vallera, Antonio Vivarelli, Maria Lettieri e Domenico Di Bacco intendono tutelare e soprattutto trasmettere. Ai futuri adulti di domani chiamati a conservare quella parte di patrimonio storico e culturale del proprio paese che rischia di andare perduta perché soggetta, come qualunque lingua in evoluzione, a cambiamenti e “perdite”. Perché tante sono le parole andate perdute, quelle desuete e per questo dimenticate anche dai meno giovani, “parole conservate solo nella memoria di qualche emigrato – aggiunge Di Cesare – vocaboli spesso difficili da tradurre in italiano” e tanto più da pronunciare. Una difficoltà che il gruppo dei sedici pratolani ha trovato il modo di superare inserendo in un archivio informatizzato oltre 1000 parole dialettali dove insieme alla traduzione di ciascun vocabolo è registrata la relativa pronuncia; per alcuni anche di un’intera frase o proverbio che lo contiene.
Un lavoro che Eugenio Di Cesare e i suoi collaboratori hanno iniziato dai tempi del covid quando, non potendo riunirsi nel locale centro sociale anziani, hanno cominciato a “chattare” su whatsapp condividendo parole e modi di dire del dialetto pratolano; impegno e passione al servizio della memoria che attraverso l’archivio si vuole trasmettere alle generazioni di domani, pronuncia compresa.
Perché “il dialetto non va solo letto ma soprattutto parlato” come ha notato anche il professore di dialettologia e toponomastica Davide Boccia che, esprimendo la sua ammirazione per il progetto pratolano, si è messo in contatto con il gruppo per avere suggerimenti utili alla redazione del suo libro Grammatica del dialetto si Pratola Peligna. Uno studio di cui Boccia, originario di Opi e residente a Torino, non è nuovo avendo già compiuto altre approfondite analisi su diversi dialetti, parole e suoni destinati a perdersi con la memoria dei nostri avi. Nonni e bisnonni dei ragazzi che questa mattina declamavano la poesia di Letteri e che a settembre affronteranno la prova finale di un concorso al quale solo in 15 saranno ammessi dalla giuria che nei prossimi giorni renderà noti i nomi dei partecipanti che hanno superato le selezioni. Ragazzi che potranno aspirare a conquistare uno dei primi tre premi messi in palio per la finale, 150 euro per il primo classificato, 100 euro per il secondo e 50 per il terzo.
Intanto ai ragazzi non resta che esercitarsi nella pronuncia ed interpretazione di una lingua che a qualcuno potrà sembrare incomprensibile e a qualcun altro forse poco elegante ma che resta comunque la lingua di chi tra i vicoli intorno a piazza Madonna della Libera o in quelli del quartiere dentro la terra è cresciuto con il suono di parole di un tempo lontano e, forse chissà anche di quello futuro.
Rinaldo petrella
Lu top..
Parole dello Strapaese il suo libro…
Vale la pena leggerlo